L’interrogativo aperto è: le parolacce in politica funzionano? Gli insulti fanno parte di una strategia politica?
Ecco una piccola digressione.
18 dicembre, Assemblea Nazionale del PD, la sala viene attraversata da queste parole. “Speranza ha la faccia come il culo” e ancora “avete la faccia come il culo!” poi ripreso dalla presidenza l’oratore aggiusta il tiro sostituendo culo con bronzo. Ma la frittata Roberto Giachetti l’aveva già fatta. O anche no.
In realtà le parolacce in politica sono state sempre un finto tabù, come anche nella vita, anche se già da tempo che il politically correct è stato minato nella sua struttura culturale ed ideologica, ed il linguaggio del discorso politico è stato contaminato sempre di più dal linguaggio corrente.
Alle origini (italiane) del turpiloquio politico troveremo la Lega Nord degli albori che, con la sua discesa in campo, usò da subito tramite il suo leader Umberto Bossi, un linguaggio molto colorito accompagnato spesso anche da gesti e azioni molto forti.
Ma a sdoganare, definitivamente, il linguaggio popolare (in senso tecnico e non elitario) come parte del discorso politico fu Silvio Berlusconi.
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Un esempio di strategia politica eclatante per polarizzare l’elettorato.
Poi vi fu il terremoto politico il Vaffa Day del 2007 di Beppe Grillo. Era l’8 settembre ed andarono in piazza cittadini che sostenevano la causa del parlamento pulito al grido di Vaffanculo.
L’8 settembre sarà il giorno del Vaffanculo day, o V-Day. Una via di mezzo tra il D-Day dello sbarco in Normandia e V come Vendetta. Si terrà sabato otto settembre nelle piazze d’Italia, per ricordare che dal 1943 non è cambiato niente. Ieri il re in fuga e la Nazione allo sbando, oggi politici blindati nei palazzi immersi in “problemi culturali”. Il V-Day sarà un giorno di informazione e di partecipazione popolare.
Beppe Grillo
Ora, con gli esempi ci potremmo dilungare, e lanciarci anche verso analisi di strategia politica esterofile, per corroborare la tesi che ormai il linguaggio popolare e un sottoinsieme del linguaggio politico.
Ma per tornare alle parolacce possiamo dire che queste hanno degli aspetti negativi e positivi che voglio, concludendo, riassumere:
Aspetti negativi:
– il circolo vizioso dell’emulazione. Il paradosso è che se un politico usa le parolacce per essere simile al “popolo”, non si vede il motivo perché un cittadino non debba esprimersi ugualmente, nella vita quotidiana ed in occasioni pubbliche (uffici, scuola ecc). E così all’infinito, generando il corto circuito della volgarità.
– “l’insulto qualifica chi lo fa”. Un riassunto quasi perfetto di quello che potrebbe diventare la comunità politica se si vira troppo spesso verso un linguaggio triviale fuggendo ad una ricerca linguistica, sì comprensibile e popolare, ma che non sia assimilabile ad una discussione fra ultras.
– Non c’è un rapporto diretto (ma forse indiretto sì) fra parolacce e consenso. Uno studio ne parla con questa conclusione.
Aspetti positivi:
– Immedesimazione. La parolaccia può essere molto empatica e suscitare una immedesimazione, cosciente ed incosciente, dell’elettore nel politico che la pronuncia.
– Sincerità e schiettezza sono messaggi molto apprezzati, che riescono a passare con semplicità attraverso qualche parolaccia messa al posto giusto al momento giusto.
– Rottura. La parolaccia, squarcia il discorso politico. Lo rompe e ne mostra la sua, presunta, verità nascosta. Accende il livello di attenzione in chi ascolta.
Ad ogni modo non mi pare possibile chiudere con una conclusione oggettiva, semmai è possibile decidere se stare dentro o fuori la costruzione di un linguaggio politico che contribuisca a costruire il mondo che vuole rappresentare.